Geolocalizzazione il nuovo business

geolocalizzazione spia utenti

L’ormai nota geolocalizzazione è esplosa come un business ricchissimo, molte applicazioni che usiamo tutti i giorni sfruttano questa caratteristica. Una economia creata da utenti inconsapevoli che neanche sospettano di quante informazioni stiano cedendo ai big player del settore. Una inchiesta del New York Times ha analizzato questo settore rivelando alcuni segreti…

Geolocalizzazione un termine che nasconde una incredibile quantità di dati e soprattutto di soldi. Noi utenti siamo tracciati tutti i giorni, in tutti i nostri percorsi, anche quando crediamo d’essere anonimi in realtà questi dati possono essere associati all’identità della singola persona.

Il New York Times ha fatto una approfondita indagine analizzando il database di geolocalizzazioni fornito da una sola società. In realtà l’indagine stessa rivela che almeno 75 aziende hanno creato e mantengono un ricco business sull’analisi di queste informazioni, il tutto per poi “bersagliare” l’utente di pubblicità più efficace o servizi mirati. D’altronde, conoscendo abitudini, spostamenti e anche condizioni economiche e sociali, è gioco facile proporre ed allettare l’utente con proposte pubblicitarie sempre più centrate.

Sorveglianza continua e business miliardari

Il New York Times nel suo articolo racconta che ad oggi almeno un migliaio di app raccolgono incessantemente informazioni sulla posizione degli utenti. Informazioni poi vendute a società terze o analizzate in automatico per fornire inserzioni sulla stessa app durante le nostre navigazioni in Internet sia sul cellulare che al Pc.

Un nostro articolo di pochi giorni fa ne aveva ampiamente parlato in mappe di Google personalizzate.

Il calcolo del giornale statunitense spiega che il tracciamento di un utente, per un mese, ha un valore economico tra il mezzo e i due centesimi di dollari. L’intero settore quest’anno dovrebbe raggiungere il valore di 21 miliardi di dollari. Con una torta così ricca si moltiplicano allora i servizi che mappano gli spostamenti di noi tutti per carpirne le preferenze e magari provare anche ad influenzarle.

La frequentazione di negozi alimentari o ristoranti, per catalogare i gusti in cucina; il numero di volte che l’utente effettua accertamenti medici o visite in ospedale, un tesoro se poi si vendono i dati a compagnie assicurative e via così.

Qualcuno potrebbe obbiettare che la posizione degli smartphone sarebbe anonima nella catalogazione dei dati, ma innanzitutto ciò che interessa alle grande compagnie è l’analisi del comportamento della persona, a prescindere dall’identità. Oltretutto, in realtà, proprio grazie a server sempre più potenti e all’analisi dei big data dovrebbe essere abbastanza semplice incrociare diverse informazioni per risalire all’identikit dell’utente “pedinato”.

Tutto ciò che sta accadendo si porta dietro un grosso problema di etica: la maggioranza degli utenti non è a conoscenza di tutto il meccanismo. L’utente apre, ad esempio la sua app sul Meteo e non sa che sta fornendo informazioni preziose in base alla posizione in cui si trova.

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Il problema del consenso consapevole

Il Times ha controllato un campione di venti applicazioni fra le più note, solamente una app specifica che l’informazione sulla geolocalizzazione verrà poi impiegata anche per scopi commerciali e pubblicitari. Tutte le altre app richiedono solo una generica autorizzazione ad accedere alla posizione degli utenti, ma non viene spiegato che le informazioni saranno poi catalogate ed utilizzate.

In pratica l’utente non è sempre consapevole (o almeno sottovaluta la cosa) che la sua localizzazione alimenterà il flusso di inserzioni pubblicitarie targhettizzate sul proprio smartphone.

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Come si stanno muovendo i Big del settore

La questione della geolocalizzazione è ormai nota da tempo agli esperti del settore. I lettori più attenti si ricorderanno che poco tempo fa era scoppiata la polemica sul fatto che il sistema operativo Android tracciava gli utenti anche quando l’opzione di localizzazione era spenta.

Non stupisce affatto, quindi, che Google utilizzi queste informazioni di geolocalizzazione per migliorare efficacemente la targhettizzazione degli annunci. Sembrerebbe inoltre che gli smartphone con Android tendano a catalogare ed archiviare molto più spesso questi dati rispetto agli iPhone (probabilmente perché la stessa Apple non dispone di una agenzia pubblicitaria interna come Google).

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Un altro campione della pubblicità online è certamente Facebook e ovviamente è molto impegnato in questo campo. Facebook, infatti, offre da tempo inserzioni pubblicitarie basate sulla localizzazione dell’utente, ma l’azienda di Menlo Park si è già proiettata nel futuro depositando molti brevetti per creare un algoritmo capace di prevedere i nostri spostamenti anche quando siamo offline.

Quando questi servizi digitali offline saranno distribuiti a tutti significherà che non sarà più sufficiente spegnere lo smartphone per diventare irrintracciabili.

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