Il problema dei social network

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Mark Zuckerberg non solo è uno degli uomini più ricchi del mondo, ma soprattutto ha la possibilità di esercitare una influenza enorme in tutto il globo terrestre, cosa che molti trascurano nei commenti al seguito dello scandalo Facebook e dati utilizzati in modo improprio.

Noi tutti (quasi tutti) siamo iscritti a Facebook, oppure su Instagram, ma anche su WhatsApp e lavoriamo per Zuckerberg, gratis. Grazie alle nostre idee, opinioni, video, foto e sentimenti che spargiamo largamente in rete, questi social network della galassia Zuckerberg prosperano e vendono pubblicità.

Un altro aspetto che spesso viene sottovalutato è quello culturale, riguarda un mondo che ha sottovalutato la potenza dei social digitali relegandoli dapprima a semplici giochi per ragazzini, con il tempo, però, molti hanno cominciato a pensare che queste piattaforme potessero essere utilizzate per reperire informazioni, tesi, addirittura creare dei business (qualche volta anche poco leciti).

Ora intere schiere di intellettuali, insegnanti, dirigenti ci spiegano che sui social è molto facile creare del consenso simulato, è semplice cambiare la testa della gente e piegarla verso tesi contrapposte a ciò che inizialmente pensavano.
Ora è possibile creare campagne elettorali, pungolare il populismo, verificare che alcuni prodotti potrebbero funzionare meglio di altri (soprattutto libri e film che vengono valutati esclusivamente dall’approvazione dei like).

Molti di noi forse non ci pensano ancora, ma in pratica ora sta accadendo che Facebook ci sta raccontando il mondo, là fuori.
Il problema è che il mondo raccontatoci è filtrato da algoritmi che modificano, quasi distorcono la realtà in base a quanta raccolta pubblicitaria è possibile incassare. Non è più necessario essere spiati in Internet, ora siamo noi a dare tutte le informazioni necessarie.

La situazione non è facile: come si fa a dire a due miliardi di utenti che ciò che appare in Facebook è spesso una realtà falsificata, comandata spesso dai like? Ormai i mezzi di informazione come i giornali, le reti televisive, le agenzie, ma addirittura anche le stesse case editrici sono praticamente “ostaggi” di un mondo che viene “spiegato” da Facebook.

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La fuga di dati sensibili per cercare di utilizzarli in campagne elettorali è solo la punta dell’iceberg, ci stiamo costruendo una gabbia creata da algoritmi che ci illudono di raccontare e diffondere le nostre opinioni, ma che in realtà sono informazioni catalogate, distribuite e rese pubbliche in flussi controllati da migliaia di server che rispondono ai programmatori al comando di Zuckerberg.

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Ormai siamo arrivati ad un vero e proprio modello culturale sempre più pericoloso, in mano a poche persone ed è un problema che nei prossimi anni inciderà sempre più nelle nostre vite. Occorrerà affrontarlo decisamente prima o poi, togliendo la testa dalla sabbia…

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Ovviamente anche i nostri dati in Google sono rilevati e venduti alla pubblicità, non è un problema solo di Facebook.

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